IL DISFACIMENTO DELLE ROCCE ED I SUOLI

Le rocce esposte in superficie sono soggette all’azione degli agenti esogeni la quale si esplica attraverso modificazioni di tipo fisico e chimico.
I processi di disfacimento si verificano in posto, ovvero senza che avvenga trasporto, e dipendono dall’ambiente in cui si trova la roccia.
Con il termine disfacimento meteorico si intende l’insieme di processi di degradazione prodotti dagli agenti atmosferici sulle rocce.
Si distinguono processi di natura:
· Fisica: producono la disgregazione meccanica della roccia, senza che si verifichino variazioni nella composizione chimica.
· Chimica: dissoluzione ed alterazione allo stato solido della roccia.
· Biologica: azioni di tipo meccanico (ad esempio la fratturazione prodotta dalle radici degli alberi) e chimico (l’azione degli acidi organici).
I diversi gruppi di processi sono strettamente legati, tanto che l’azione di uno rafforza quella di un altro.
Normalmente si assiste infatti all’azione congiunta di più processi; inoltre i fenomeni di alterazione, oltre dipendere dall’intensità e durata dei processi, agiscono con modalità ed intensità differenti su di un tipo di roccia rispetto ad un altro (sono cioè funzione del litotipo).
Ad esempio un calcare subisce un’alterazione ben diversa se si trova in ambiente desertico o in ambiente tropicale umido; analogamente per ogni altro litotipo.
Un altro fattore determinante ai fini dell’efficacia dei processi di alterazione è la presenza nella roccia di superfici di discontinuità: le superfici di stratificazione di una roccia sedimentaria e le superfici di scistosità di una roccia metamorfica rappresentano infatti superfici di debolezza, cioè zone in cui i processi riescono più facilmente ad esplicarsi.
L’acqua gioca un ruolo fondamentale in molte tipologie di processi (si veda il seguito), tanto che le aree sottoposte a clima caldo umido sono quelle in cui il disfacimento delle rocce procede più intensamente e velocemente.
Prima di esaminare brevemente le tipologie di processi del disfacimento, si riporta uno schema delle principali forme geometriche di disgregazione di una roccia (fig. 7.1):
· Disgregazione granulare: si manifesta su rocce composte da elementi grossolani (grossi cristalli in ignee intrusive o clasti grossolani in sedimentarie) con la formazione di un detrito granulare o sabbioso.
· Esfoliazione (desquamazione): si formano scaglie curve che, al distacco, comportano la dissezione della roccia in blocchi sferoidali (tipica sui graniti in ambiente arido).
· Separazione in blocchi: si verifica su rocce in cui sono presenti superfici di discontinuità o fratture, come ad esempio rocce intensamente tettonizzate o basalti (le fratture sono prodotte dalla contrazione che si verifica al raffreddamento).
· Frantumazione: in rocce compatte e resistenti si verificano fratture lungo superfici precedentemente inesistenti, con produzione di frammenti aguzzi con angoli acuti e taglienti. La frammentazione si verifica quindi con superfici che hanno un orientamento casuale.
· Fogliettamento: si verifica in rocce scistose o sottilmente stratificate; tali discontinuità rappresentano superfici di debolezza rispetto all’azione di disfacimento.
I prodotti dell’alterazione possono essere asportati dagli agenti di trasporto (si vedano i processi sedimentari nel capitolo sulla classificazione delle rocce) oppure restare in situ, dando luogo ad accumulo di detrito (coni e falde detritiche) e fornire alla pedogenesi i primi materiali necessari alla formazione del suolo.

Foto 7.1 Esempio di disgregazione per fogliettamento, prodotta per termoclastismo; Ande argentine.
(Foto G. Paliaga)

Fig. 7.1 Principali forme geometriche del disgregamento delle rocce. (Da “Geografia Fisica” A. N. Strahler)
Termoclastismo

E’ l’effetto di frantumazione prodotto dagli sbalzi termici: un rialzo di temperatura comporta infatti la dilatazione dei materiali, che si contraggono invece al diminuire della stessa (si ricordi che l’acqua ha un comportamento inverso durante il passaggio di stato liquido - solido).
Questi cicli di dilatazione e compressione tendono ad indebolire la struttura dei materiali fino a comportarne la frantumazione.
Le rocce sono caratterizzate da bassi valori di conducibiltà termica; per questa ragione si instaurano forti differenze di temperatura tra le parti esterne e quelle più interne, generando così quelle tensioni che causano la frammentazione della roccia.
Due sono i fattori che principalmente guidano l’efficacia di questo tipo di processi: l’entità dello sbalzo termico e la sua durata.
Si verificano quindi sbalzi diurni, determinati dalla differenza tra la temperatura massima e la minima nelle 24 ore, e sbalzi stagionali.
I primi agiscono in tempi decisamente più brevi e si verificano con alta frequenza, ma i secondi hanno un’entità decisamente maggiore; in ogni caso ciò che determina il maggior effetto è la velocità negli sbalzi termici.
Si pensi ad esempio ad un affioramento roccioso sulle alture della nostra città esposto verso sud: la sua temperatura, quando investito dalla luce diretta del sole in estate, può salire anche oltre i 40 °C, mentre in inverno scende anche abbondantemente al di sotto di 0 °C.
Un fattore che gioca un ruolo fondamentale è quindi l’esposizione dell’affioramento roccioso: se la roccia è esposta a nord può non venire praticamente mai investita dalla luce diretta del sole e quindi gli sbalzi saranno di minore intensità, sebbene sia più esposta alle correnti fredde.
Quindi il termoclastismo è più attivo in quelle zone dove si manifestano le più forti e rapide escursioni termiche, come le regioni montuose ed i deserti.
Come precedentemente accennato l’azione di disfacimento dipende anche dalle caratteristiche della roccia: una roccia scura assorbe una quantità maggiore di calore rispetto ad una chiara; inoltre i cicli di dilatazione e contrazione si manifestano con modalità differenti a seconda che la roccia sia omogenena o eterogenea (ad esempio un conglomerato).
I diversi elementi che compongono le rocce del secondo tipo assorbono e cedono calore con modalità differenti, quindi il termoclastismo ha su di esse effetti più intensi rispetto a rocce omogenee.
Questo processo produce ad esempio la desquamazione (esfoliazione) che si riscontra su graniti, arenarie e rocce scistose (metamorfiche) in ambiente caldo arido: il forte riscaldamento causa la disgregazione superficiale in foglietti di alcuni millimetri di spessore, che provoca l’arrotondamento dei blocchi rocciosi (fig. 7.2)

Fig. 7.2 Esempio di esfoliazione su granito – Ande argentine (Foto G. Paliaga).

Crioclastismo

Se gli sbalzi termici, pur non essendo particolarmente intensi, si verificano a temperature intorno agli 0°C, l’azione disgregatrice viene accresciuta dalla presenza dell’acqua.
A differenza di quanto accade agli altri elementi, quando l’acqua passa dallo stato liquido a quello solido si verifica un aumento di volume.
Quando la temperatura è al di sopra dello zero l’acqua penetra nei pori e nelle fessure, che, durante il congelamento, si trovano sottoposte ad una pressione (dell’ordine del migliaio di kg/cm2) che tende ad allontanarle.
Questo processo comporta la frantumazione della roccia, che si verifica tanto più intensamente quanto più numerosi sono i cicli di gelo e disgelo.
Inoltre il processo agisce tanto più profondamente quanto più la temperatura scende.
I frammenti così prodotti, le cui dimensioni dipendono dalla struttura della roccia, sono di forma angolosa.
Questo processo di disgregazione interessa le regioni caratterizzate da una stagione invernale fredda, ed è particolarmente attivo nelle zone montuose oltre il limite della vegetazione.
Inoltre la copertura vegetale ed il mantello detritico ne limitano gli effetti in profondità.
Il crioclastismo è il processo dominante delle zone periglaciali, ovvero quelle zone che si estendono intorno al limite delle nevi persistenti, inoltre la sua azione risulta più pronunciata su rocce argillose o a cemento argilloso.
I minerali di tipo argilloso infatti sono caratterizzati dalla proprietà di assorbire acqua, aumentando così l’effetto legato alla porosità ed alla presenza di fratture.
L’azione del gelo si manifesta anche nei suoli con i fenomeni di crioturbazione e con la formazione del permafrost.
Nelle regioni a clima freddo, le aree periglaciali dove non si verifica intervento diretto dei ghiacciai, le basse temperature causano il congelamento permanente del terreno, ovvero la formazione del permafrost.
Le aree interessate da permafrost ricoprono 1/5 della superficie delle terre emerse; tra di esse si distinguono zone a permafrost continuo (clima molto rigido), discontinuo (sono presenti tratti di terreno non gelato) e sporadico.
Al di sopra del permafrost uno livello definito strato attivo è soggetto allo scongelamento durante la stagione estiva.
I fenomeni di crioturbazione consistono in deformazioni, spostamenti e strutturazioni dei suoli detritici: il congelamento dell’acqua contenuta nel terreno, che avviene con aumento di volume, comporta infatti lo spostamento dei detriti rocciosi che vengono letteralmente espulsi verso la superficie.
Questi fenomeni producono forme quali suoli poligonali e colate di fango ed anche cuscinetti erbosi e monticelli di fango (entrambe deformazioni del terreno) che si riscontrano in aree montane ed appenniniche, oltre che in zone subpolari.

Fig. 7.3 Schema, in sezione, della formazione dei suoli poligonali (diametro dei poligoni: qualche decimetro). a) fessurazione del terreno per il gelo. b) migrazione dei ciottoli verso l’alto. c) allargamento delle fratture e loro riempimento con i ciottoli espulsi. Le frecce tratteggiate indicano gli spostamenti di massa terrosa. (da “Geomorfologi” G. B. Castiglioni).

Aloclastismo

È la degradazione di tipo meccanico causata dalla cristallizzazione dei sali presenti in soluzioni acquose.
Nelle vicinanze del mare e di laghi salati l’acqua portata dal vento e dagli spruzzi penetra negli spazi porosi della roccia depositando i sali in essa disciolti.
L’essicamento provoca la cristallizzazione dei sali che a sua volta esercita un’azione meccanica di allargamento di fessure e pori.
L’azione di alterazione si manifesta sia mediante frammentazione che con il distacco di granuli (minerali nel caso di una roccia cristallina o clasti per una sedimentaria).
Inoltre i sali possono essere trasportati dal vento e da pioggia o neve ed essere depositati anche a grandi distanze dalla riva.
Un’altra forma di apporto si verifica nelle aree desertiche endoreiche dove l’evaporazione dell’acqua di un bacino lascia depositi molto arricchiti in sali, i quali vengono asportati dal vento e ridepositati su altre rocce.
Nelle coste rocciose liguri i fenomeni di alterazione per aloclastismo risultano ben visibili; in particolare su arenarie e marne si osservano facilmente alveoli e vaschette di erosione.

 

Foto 7.1 Vaschette di erosione formate per aloclastismo; s’Archittu – Sardegna. (Foto G. Paliaga).
  Foto 7.2 Vaschette di erosione formate per aloclastismo ed arco di roccia; s’Archittu – Sardegna.
(Foto G. Paliaga).
Disseccamento ed imbibizione

Alcuni sali inorganici, quello dell’anidrite è il caso più frequente, aumentano di volume legandosi a molecole di acqua.
Il passaggio da anidrite a gesso (idratazione dell’anidrite) rappresentato dall’equilibrio seguente

provoca l’aumento di volume di interi corpi rocciosi con effetti meccanici anche vistosi sulle rocce incassanti.
Analoghi effetti produce l’idratazione dell’ematite (Fe2O3) che viene così trasformata in limonite (2Fe2O33H2O).
Un ulteriore esempio è fornito dall’idratazione delle argille: anche in questo caso l’aumento di volume che ne consegue comporta la fratturazione delle rocce confinanti.

Alterazione chimica

I processi di alterazione chimica sono un vasto insieme di processi che interessa tutti i litotipi e che vede come agenti principali l’acqua, l’ossigeno e l’anidride carbonica.
Dell’idratazione, che è un processo chimico con effetti di tipo meccanico, si è già accennato.
Un altro effetto causato dall’acqua è quello dell’idrolisi: la parziale dissociazione in ioni H+ ed OH- comporta, tra l’altro, l’idrolisi dei silicati (in particolare l’argillificazione degli allumosilicati, cioè la trasformazione di minerali silicatici in minerali argillosi)).
Senza entrare nei particolari chimico - mineralogici ci si può limitare ad osservare che questo tipo di alterazione comporta la trasformazione di alcune tipologie di minerali in altri con caratteristiche meccaniche, ma non solo, diverse; inoltre alcuni ioni metallici passano in soluzione e vengono così asportati lasciando prodotti residuali con caratteristiche diverse rispetto alle rocce di origine.
Nell’acqua inoltre si trovano disciolti una grande quantità di acidi sia inorganici che organici che concorrono all’azione di disfacimento.
La forma di corrosione più frequente è quella che interessa i carbonati.
L’anidride carbonica presente nel suolo e nell’aria può venire disciolta nelle acque piovane ed in quelle circolanti nel sottosuolo, formando acido carbonico in soluzione acquosa.
L’acido carbonico esplica sul carbonato di calcio un’azione corrosiva che si manifesta con il passaggio in soluzione del bicarbonato di calcio.
La reazione di dissoluzione dei carbonati è la seguente:

L’azione di dissoluzione dei carbonati dipende da un gran numero di parametri; i principali sono:
· La pressione parziale di anidride carbonica (che determina la quantità di gas disciolto in acqua).
· La temperatura della soluzione.
· L’acidità della soluzione.
· La durezza della soluzione, ovvero la quantità di carbonato di calcio in essa disciolto.

Un altro processo di alterazione chimica è l’ossidazione, fenomeno che si verifica sia a causa dell’ossigeno presente nell’aria che di quello disciolto nelle acque piovane.
Questa forma di alterazione, solitamente ben riconoscibile a causa del cambiamento di colore, si verifica più facilmente su rocce a contenuto ferroso, su sostanze carboniose, sullo zolfo e sui solfuri.

 

Foto 7.3 Pinnacoli di roccia generati dagli agenti erosivi sulla dolomia. (Foto G. Paliaga)
  Foto 7.4 Calanchi: forma erosiva prodotta dall’erosione lineare concentrata; Ande argentine.
(Foto G. Paliaga).
 
Foto 7.5 Erosione lineare concentrata (a “manico d’ombrello”); Islanda. (foto G. Paliaga)   Foto 7.6 Erosione selettiva lungo una falesia attiva (si veda il cap. 10): gli strati rocciosi più resistenti all’alterazione rimangono in evidenza. Sardegna, costa nord occidentale. (foto G. Paliaga)
 

 

 

 

Fig. 7.4 Alveoli prodotti da corrosione chimica su roccia calcarea, su di una parete in alta montagna. A sinistra la superficie corrosa, coperta da patina scura nelle parti esterne e biancocinerea sul fondo degli alveoli. A destra ingrandimento di una sezione normale alla superficie: 1) strato scuro ricco di microorganismi. 2) straterello biancastro. 3) straterello con alghe verdi unicellulari. 4) roccia inalterata.

Processi di disfacimento legati all’attività di organismi viventi

Il disfacimento di tipo biologico si esplica attraverso azioni di tipo meccanico e chimico.
Le prime sono prodotte dall’azione divaricatrice delle fessure presenti delle rocce da parte degli apparati radicali delle piante.
Altre azioni meccaniche sono prodotte dai licheni che penetrano con piccole radichette nella roccia, anche a partire da una superficie liscia, aumentando così l’effetto di altri processi di disfacimento; grande importanza ha anche l’azione dei litodomi, cioè molluschi marini che perforano le rocce.
Le azioni di tipo chimico sono invece dovute sia ai prodotti di decomposizione delle sostanze organiche (acidi organici, CO2, ammoniaca…), sia all’azione diretta di alcuni organismi.
Alcuni organismi, sia vegetali che animali, secernono sostanze acide legate alle loro funzioni vitali; gli acidi così prodotti esplicano un’azione corrosiva sulle rocce.

I SUOLI

Il disfacimento delle rocce da parte degli agenti esogeni fornisce la materia prima necessaria alla formazione dei suoli.
I suoli sono infatti uno dei prodotti dell’alterazione, in cui l’attività biologica gioca un ruolo fondamentale.
I materiali generati dal disfacimento delle rocce, con pezzature da grossolana a fine, possono essere asportati o restare in situ; nel secondo caso la roccia a substrato rimane coperta da un mantello detritico con uno spessore che può raggiungere anche parecchi metri.
Il mantello detritico viene definito anche regolite o eluvium (materiale eluviale).
Il suolo rappresenta la porzione più superficiale del regolite, in cui si manifestano più intensamente le interazioni con la biosfera, l’atmosfera, l’idrosfera e la litosfera.
Come tale è sede di svariati fenomeni fisici, chimici e biologici; inoltre la sua natura e presenza sono strettamente correlate allo sviluppo della vita vegetale.

Le caratteristiche principali dei suoli sono così riassumibili:

· composizione chimica e fisica.
· individuazione di livelli, detti orizzonti, il cui insieme compone il profilo pedologico.

Esaminando il profilo pedologico dall’alto verso il basso si individuano i seguenti orizzonti:

Ø O: orizzonte organico indecomposto.
Ø A0: orizzonte organico decomposto (orizzonte umico ovvero ricco in humus).
Ø A: orizzonte costituito da sostanza organiche decomposte e da sostanze minerali che derivano dai processi di disfacimento della roccia a substrato, cioè alterazione ed impoverimento dei composti chimici solubili (eluviazione).
Ø B: orizzonte prevalentemente minerale, intensamente alterato; qui risultano concentrati elementi e composti provenienti dall’orizzonte A (illuviazione).
Ø C: roccia alterata.
Ø R: roccia inalterata.

Fig. 7.5 Profilo pedologico. Le lettere indicano gli orizzonti.
(da “Geomorfologia” G. B. Castiglioni)

 

Lo studio dei suoli è affrontato dalla pedologia, la quale si occupa di esaminare la pedogenesi, ovvero la genesi del suolo e la sua evoluzione.
Lo studio si esplica analizzando composizione chimica, colore, granulometria, acidità e struttura di ogni orizzonte.
La natura, spessore e composizione chimica dei suoli determinano la distribuzione e tipologia della copertura vegetale.
Le caratteristiche di un suolo sono determinate sia dalla natura della roccia madre che dal regime climatico.
Altri fattori che determinano lo sviluppo dei suoli sono forniti dal rilievo (accilività) e dalle azioni di tipo biologico che su di essi si esplicano.
Ad esempio una pendenza eccessiva impedisce l’accumulo dei materiali prodotti dal disgregamento delle rocce, che una volta asportati dagli agenti esogeni non sono più disponibili alla pedogenesi.
Questo fenomeno risulta spesso evidente nei versanti più acclivi della nostra regione.
Quindi il rilievo influenza la velocità dei processi erosivi, mentre la natura della roccia madre determina la composizione chimica dei suoli, la quale a sua volta svolge un’azione selettiva sulla vegetazione.
Infatti suoli acidi, come ad esempio quelli che si sviluppano su rocce ofiolitiche (gruppo di Voltri, zona del Bracco…), permettono lo sviluppo solo di determinate specie vegetali.
I fattori climatici e biologici svolgono un’intensa azione di sviluppo della pedogenesi, ragione per cui la suddivisione dei processi pedogenetici può essere affrontata parallelamente alla classificazione dei climi.
Si distinguono quindi processi pedogenetici zonali, ovvero legati a zone climatiche, e processi azonali, cioè legati a condizioni locali (il rilievo, la roccia madre…).
Tra i processi del primo tipo i più caratteristici sono quelli della podsolizzazione e della laterizzazione.
La prima determina la formazione di suoli tipici dell’ambiente della foresta boreale di aghifoglie, mentre i secondi comportano la formazione delle lateriti, in cui alcuni elementi vengono disciolti dall’acqua ed asportati mentre altri rimangono concentrati; tra questi si ricordano in particolare gli ossidi di ferro responsabili della colorazione rosso scura di questa tipologia di suoli.
In ambienti freddi intensi o aridi i la tipologia dei processi attivi e la scarsa attività di alterazione legata all’attività biologica, determinano uno scarsissimo sviluppo del suolo, che può essere anche assente.
Il clima freddo infatti determina un rallentamento dei processi di decomposizione delle sostanze organiche, le quali giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo del suolo.
Un clima caldo umido al contrario aumenta la velocità dei processi di decomposizione permettendo un più ampio sviluppo del suolo.
I suoli più fertili inoltre sono ricchi di humus e di sali minerali; tra questi sono particolarmente fertili quelli sviluppati su depositi di loess (il limo di origine eolica) accumulati in grandi quantità negli ambienti continentali di prateria delle medio-alte latitudini (40°- 55° Nord) quali le terre nere della Russia.
A causa della scarsa presenza di sali minerali e di humus, asportati dall’intenso dilavamento, i suoli lateritici delle zone equatoriali non sono particolarmente fertili.
Riassumendo, i fattori ambientali che regolano tipologia ed evoluzione dei processi pedogenetici sono sintetizzati nella seguente relazione (equazione di Jenny):

S = f(C, V, R, M) dT

dove:

  • S = suolo
  • C = clima; la temperatura influenza la velocità delle reazioni chimiche; inoltre tutte le trasformazioni irreversibili che variano le proprietà della roccia avvengono in presenza di acqua.
  • V = vegetazione: influenza pesantemente le caratteristiche del suolo, direttamente, creando particolari condizioni microclimatiche ed indirettamente apportando materia organica ed elementi quali il calcio, il potassio, il magnesio ed il sodio.
  • R = roccia madre; ha forte influenza sui suoli poco evoluti (orizzonti A-C), minori all’aumentare dello spessore del suolo.
  • M = morfologia: l’esposizione condiziona la quantità di energia ricevuta per insolazione; il drenaggio regola la lisciviazione e la concentrazione di composti; la pendenza condiziona l’erosione.
  • T = tempo: durata dei processi pedogenetici.